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Una donna sacchetto …

Paola è una di quelle persone che, normal­mente, viene definita matta. 75 anni, piena di pacchetti con dentro la sua casa, è una donna ­sacchetto che da anni non conosco una casa. La sua vita scorre senza particolari novità, che non siano il caldo o il freddo, la paura o la fame, nel riparo artificiale che una nicchia all’angolo di una delle chiese sparse per L’Aquila le offre. Per la gente, che la conosce di vista, è una situazione da tollerare, ma che an­drebbe rimossa.

L’abbiamo conosciuta e avvicinata mentre era lì, nella sua cappellina privata. Quando ci siamo accostati, abbiamo trovato persone preoccupate che potesse farci del male: «non vi avvicinate, che quella picchia chiunque ha a portata di braccia».

La stracciona Paola viene da un anno con noi in rosticceria, ogni giorno, per il pranzo. Da qual­che tempo non c’è più neanche l’anfratto della cappella della Madonna dove ripararsi, perché è stata chiusa da una grata di ferro battuto. La gente dei dintorni si è detta finalmente soddi­sfatta.

Si direbbe un’anziana che necessita delle cure e dell’assistenza psichiatrica del Centro di Salu­te Mentale. Ma, ovviamente, non ha mai richie­sto al CSM di zona di essere aiutata e, come è consuetudine, gli operatori del CSM intervengo­no solo quando c’è un’esplicita, consapevole ri­chiesta da parte del soggetto con difficoltà psi­chiche o psicologiche. Senz’altro alle spalle di Paola c’è una storia fatta di ricoveri in manicomi fin da giovane. Anche sua sorella ha avuto pro­blemi di questo tipo.

Nella storia più recente va registrato il fatto che abitavano, lei e la sorella, in un apparta­mento a pochi metri dall’edicola, vicino alla chiesa, dove Paola non ha fatto più ritorno dopo la mor­te, drammatica, della madre. Che la madre fosse morta è stato scoperto dai vicini dopo una set­timana, perché veniva fuori un gran tanfo da dietro la porta: loro due stavano metà tristi, metà con lo sguardo vuoto vicino al corpo della madre.

Avvicinarsi a Paola non rientrava nei compiti istituzionali dell’assistenza domiciliare. Qui non c’era e non c’è una casa in cui assistere, né letti da rifare. Abbiamo però scelto ugualmente per questa assistenza «anomala» ( a nostre spese ) perché senz’altro il tipo di vita che Paola conduceva era altamente pericoloso, precario, non in grado di assicurare a se stessa la sopravvivenza.

Nonostante le anomalie è stato possibile con­statare una evoluzione profonda nel nostro rap­porto e nella condizione oggettiva di vita di Paola.

Il luogo dell’«assistenza» è, ovviamente, la strada. Qui ci incontriamo con lei, con continuità. Ogni giorno, ad ore precise. Si va a mangiare as­sieme nella rosticceria all’angolo e, alla sera, facciamo con lei la strada fino al dormitorio. Anche continuando a vivere fuori casa, ora, la sua vita è senz’altro meno confusa e disordinata e meno sottoposta a peri­coli improvvisi e a rischi gravi come la mal  nutri­zione o il freddo notturno. Elemento decisivo si è rivelata la continuità del rapporto umano con una dei nostri operatori domiciliari. Il fatto di vedersi tutti i giorni, alle stesse ore (oltre a qualche altra volta) ha creato una stabilità e aperto una breccia nel mondo chiuso di Paola. La persona che l’avvicina, col tempo, è diventata « TITINA » e, più avanti, tutta la nostra presenza è stata assi­milata all’amica « TITINA ». Ora ciascuno di noi, quando si avvicina, è «un amico di TITINA ».

Abbiamo poi rintracciato una cugina di Paola che vive in provincia dell’Aquila ed ora vive li con lei e una nostra operatrice.

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