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Sono poco meno di un milione e quasi non c’è italiano che non ne abbia conosciuto una, magari di nome o di viso. Sono le badanti, protagoniste in Italia di molte storie, spesso luminose, talvolta opache.
Ma cosa sappiamo realmente di loro e della loro vita? Cosa c’è dietro i loro nomi e, spesso, i luoghi comuni che le riguardano?
A volte dovremo chiederci, anche solo per qualche istante, chi fossero davvero quelle persone che da anni vediamo sempre più spesso assistere gli anziani.
Le badanti, una professione nata per sopperire un bisogno della nostra società che invecchia e che non trova più nella famiglia tradizionalmente concepita le forze per la cura quotidiana di genitori e nonni anziani, spesso malati, non più autosufficienti.
Le case si sono popolate piano piano, in silenzio, di queste donne, quasi mai italiane che hanno trovato questo lavoro prezioso e durissimo un’occasione per rifarsi una vita, per permettere ai figli di studiare, per emanciparsi, per sfuggire alla miseria.
Ma a costo di rinunce pesantissime. Ognuna di loro alle spalle ha una storia unica accomunata da quella scelta: partire. Hanno età, provenienze, vicende diverse. Commuoversi, leggendole, è inevitabile. Arrabbiarsi anche, per l’ingiustizia che divide il mondo tra chi ha il privilegio di restare e chi è di fatto costretto a emigrare.
È costretto eppure fa una scelta, una scelta coraggiosa e anche rischiosa.
Si raccontano qui vite fatte di dolori, di amore incondizionato per i figli, di affetto per gli anziani che hanno accudito, ma anche di sofferenze, rinunce, solitudini.
Ci sono donne dell’est Europa come Natascha o Irina che raccontano come abbiano visto crollare il proprio mondo fatto di una casa garantita, un lavoro qualificato, una stabilità, una prospettiva per i figli nel giro di pochi mesi dopo il 1989.
C’è la storia di Jasmine, nata in Marocco e finita in Arabia Saudita nella prigionia del burka, di Amal, nata in Somalia che qui ha dovuto lottare contro un marito irresponsabile ma anche contro la discriminazione del velo e che è stata costretta a mandare i suoi due figli, entrambi nati in Italia, nella Somalia in guerra.
C’è la storia di Marinela, che è diventata un punto di riferimento per tante donne immigrate e che racconta di quell’amore nato in Italia con naturalezza e delle difficoltà del figlio che ha subito la scelta della madre.
Una storia di successo come in realtà, in fondo, lo sono tutte. Tante di loro escono dal silenzio, si svelano, raccontando la loro vita di prima, la loro scelta appunto, quella di partire, la vita dopo, la vita adesso.
Adesso che magari, in silenzio, ma solo con la passione, l’amore e la dignità di chi porta nel cuore non solo la propria storia fatta di lacrime e sofferenze … ma la vocazione di essere presenti non solo fisicamente nella vita di chi forse né avrà ben poca ancora da condividere.
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